L’emergenza e questa strana clausura.

EmozioniL’attuale emergenza legata al Coronavirus ci costringe ad una strana clausura, in contatto digitale con tutti, se vogliamo, ma distanti da tutte le nostre abitudini. Passato l’ineludibile  stupore iniziale siamo adesso immersi in un osservatorio unico e per certi versi privilegiato sulle nostre abitudini. Le cose importanti che quotidianamente diamo per scontate  adesso ci mancano e la loro assenza, sebbene possa provocar danni, potrebbe anche spingerci a riflettere con maggiore acutezza. La così tanto ovvia quotidianità, quasi mai oggetto di riflessione, adesso, da assente, esige di essere compresa.

Molti dei miei pazienti sono in questi giorni confusi ed hanno reazione emotive che non si aspettavano, nel bene e nel male. Anche io ovviamente sono a volte disorientato da ciò che accade fuori e dentro di me. Alcuni dei miei pazienti però stanno sperimentando difficoltà più severe poiché hanno perduto una quotidianità che li conteneva emotivamente; sono persone che hanno ancora bisogno di molto contenimento “esterno” per poter vivere, sopravvivere, godere, costruire la propria esistenza.

Vorrei portare due brevi esempi. Il primo, una madre ed un bimbo di 9 anni, che chiameremo Antonio, con Sindrome dello Spettro Autistico, con cui lavoro da circa due anni. Bambino ad alto funzionamento, ma con un tratto iperattivo e oppositivo-reattivo che gli fa assumere di fronte alle frustrazioni comportamenti problematici e crisi agitative. Senza entrare nei dettagli del progetto riabilitativo e terapeutico, che vede coinvolti sia il bambino sia la madre, sia la famiglia, sia la scuola, posso affermare che nell’ultimo anno abbiamo raggiunto buoni risultati anche sull’aspetto strettamente comportamentale, ed una delle cose cha ha funzionato è stato l’inserimento guidato in contesti relazionali adeguati, attraverso una madre che ogni volta si prepara meglio a gestire il proprio figlio: la scuola (con la quale si è lavorato bene per integrare e facilitare il bambino rispetto alle sue difficoltà), lo sport, il gruppo del catechismo, il centro di riabilitazione. Adesso però Antonio e la madre sono chiusi in casa, non c’è la scuola, non c’è lo sport, non c’è il catechismo, il centro di riabilitazione é chiuso. Antonio sta regredendo velocemente, ritornando alle stereotipie ed ai comportamenti agitati del passato, imbrigliato in tablet, computer e televisori; la madre mi chiama disperata, non sa come fare, aveva imparato molto dalla terapia ma adesso che stanno chiusi in casa per tutto il giorno, le sane routine sono saltate e lei è sommersa da ciò che non sa gestire, è senza strumenti, è sola e teme giustamente di perdere in poche settimane due anni di prezioso e faticoso lavoro. Perché non scherziamo su questo e non prendiamoci in giro, per una madre di un figlio nello Spettro Autistico fare la madre è più difficile che per altre madri, e stare chiusi in casa in questo periodo di emergenza è più problematico e più gravido di conseguenze che per altre persone. Antonio e la madre hanno perso una struttura esterna (la quotidianità fatta di giornate organizzate ad hoc in posti in cui stare, persone da incontrare e attività specifiche da svolgere) che é altamente necessaria per offrire contenimento emotivo e comportamentale per entrambi. É importante capire che per loro non sono “solo” sospesi temporaneamente gli obiettivi di riabilitazione e crescita, per loro é saltato proprio tutto!

Secondo esempio, un altro paziente, uomo di oltre cinquant’anni, con una relazione coniugale problematica, un figlio grande col quale purtroppo il rapporto non ha mai funzionato tanto bene,  patologie pregresse, un rene in meno  e chemioterapici in atto, gravemente immunodepresso.  Lui è una di quelle persone che NON DEVE ASSOLUTAMENTE PRENDERE IL VIRUS. Una persona che ha riversato nel lavoro e nei contatti sociali quotidiani che ruotano attorno alla giornata lavorativa in ufficio, tutta la sua essenza vitale e tutta la densità relazionale di cui è capace. Adesso anche lui è disorientato, più spaventato di me e di molti altri poiché rischia davvero la vita ed ha perso la sua quotidianità “fuori casa”, il miglior antidepressivo che lo potesse mai curare finora. Ora è chiuso in casa con la sua famiglia che non è per lui fonte di benessere quanto luogo emotivamente problematico in cui districarsi, piuttosto che immergersi. Si, per fortuna c’è il lavoro agile da casa col computer e c’é il telefonino con dentro Whatsapp, Facebook e via dicendo, quindi la socialità “esterna alla famiglia” sopravvive in qualche modo per lui. Ma oltre la porta chiusa della stanza in cui per molte ore si rifugia, ci sono moglie e figlio, e la pressante vita familiare che non può essere più elusa con la solita apnea del week-end. Ed inoltre si stanno presentando violente crisi d’ansia, perché proprio la  vita “social” del telefonino lo bombarda ogni giorno di stimoli allarmanti che non dovrebbe recepire, perché la paura  di fronte a tali stimoli sale troppo per chi è immunodepresso e seriamente vulnerabile a questo virus.

Che si fa adesso??? Bisogna urgentemente riorganizzare la quotidianità, adattarsi attivamente, creare nuove abitudini, gestire le emozioni che arrivano amplificate e le relazioni familiari che possono essere problematiche o comunque difficili. Le videochiamate ci stanno aiutando, riusciamo a lavorare, seppur a distanza e senza la relazione fisica, che in un intervento psicologico è culla e strumento di intervento. Ma possiamo fare cose buone e traghettarci in questa fase di emergenza fino alla ripresa della normalità, cercano di non perdere troppo terreno nel frattempo. Queste persone hanno bisogno di un aiuto per adattarsi ad una situazione che gli ha tolto la struttura esterna che li conteneva e li faceva “funzionare”: la quotidianità fatta di luoghi, di incontri, di attività, di distrazioni (più o meno sane) dalle relazioni familiari difficili.

E allora, da questo osservatorio unico e privilegiato della strana odierna clausura cosa possiamo guardare? Che ciascuno di noi si appoggia alla propria quotidianità per darsi struttura, per regolare le proprie emozioni ed i propri conflitti interni, le proprie difficoltà e per puntare su ciò che lo fa vibrare e lo fa funzionare al meglio. Ma la stessa quotidianità che ci mostra cosa normalmente desideriamo e perseguiamo ci indica anche, se vogliamo vederlo, ciò da cui fuggiamo, le relazioni umane ed i comportamenti per noi difficili e problematici, quelli che ci spaventano o infastidiscono. Perché la quotidianità non è fatta solo dei luoghi in cui andiamo e delle persone che frequentiamo ma anche dei luoghi, delle persone e delle azioni che stabilmente evitiamo. Adesso questo diaframma contro ciò che stabilmente evitiamo potrebbe essere saltato e la sentinella che ci avvisa di ciò  sono le reazioni emotive “fastidiose” che in questa strana clausura si possono presentare. L’intensità di questo “fastidio” è inversamente proporzionale alla nostra maturazione psicologica, che porta con se anche una certa autonomia (o meglio una sana ed elastica dipendenza) dai contesti esterni e la capacità avanzata di riorganizzarci velocemente quanto le condizioni cambiano. Per la madre di Antonio e per il nostro cinquantenne le reazioni emotive di questi giorni sono forti, intense, e rischiano di instaurare un corto circuito in se stessi e nella famiglia in cui abitano; da soli non le riescono a gestire e per fortuna possono contare su un aiuto esterno. Le persone che hanno  ancora bisogno di un contenimento  esterno soffrono di più adesso, quelle che stanno “psicologicamente più avanti” soffrono di meno e si riadattano più agilmente. La sentinella può avere facce diverse per ognuno di noi ma per ciascuno una domanda vale: cosa voglio farne adesso delle cose che stabilmente evito? Questa clausura mi può aiutare a vederle chiaramente? Voglio cambiare qualcosa o è meglio che le tenga solo a bada per traghettarmi sino alla fine dell’emergenza?

Sia per cambiare (almeno un po’) sia per gestire al meglio le cose per noi problematiche e resistere fino alla fine del tunnel, bisogna saper ascoltare le emozioni di paura o di rabbia, di sconcerto e di tristezza, allertate dalla perdita della quotidianità, dall’obbligo di confrontarsi con ciò che di solito si evita, e cercare di cogliere il messaggio, cercare di capire cosa di solito evitiamo e perché ci crea così tanti problemi.

E se vogliamo, se ci dedichiamo anche a ciò che viene da dentro, andrà tutto bene…