Il Progetto Terapeutico

Può aiutare avere un’idea di cosa si muove dietro le quinte di un trattamento psicologico, dietro ciò che fa o non fa lo psicologo quando lavora per aiutare il suo paziente. Il progetto terapeutico è quella sorta di intelligenza silenziosa che il paziente non vede ma permette allo psicologo di procedere, che guida i passi da seguire durante il trattamento.

Non è possibile non avere un progetto. Anche quando improvvisiamo, in realtà seguiamo spontaneamente uno schema implicito, una traccia interna che orienta il nostro modo di ascoltare, di intervenire, di reagire. Ma abbiamo meno controllo, meno efficacia. Proprio per questo è utile che il professionista lavori invece consapevolmente al progetto terapeutico, per ridefinirlo nel tempo e renderlo più preciso, efficace e coerente con l’evoluzione del paziente e della relazione.

Un buon progetto nasce da una valutazione accurata: la conoscenza delle caratteristiche del paziente, del suo contesto di vita, della storia personale, delle risorse disponibili e dei limiti attuali. È importante individuare il livello di gravità strutturale, la quantità e severità dei sintomi, nonché le capacità adattive e relazionali. In base a questa analisi si può collocare il caso specifico all’interno di una tipologia di riferimento, prevista dal proprio modello teorico, che funge da mappa iniziale per orientarsi.

Questo “appaiamento” tra persona e prototipo clinico permette di delineare una prima bozza di progetto terapeutico, che poi va raffinata tornando alla singolarità del paziente: nessun individuo coincide pienamente con un modello, ma il modello può aiutare a leggere e comprendere meglio l’individuo.

Il modello di riferimento è dunque necessario come filtro e guida: aiuta a formulare ipotesi, definire obiettivi realistici, prevedere la possibile sequenza delle fasi del trattamento, scegliere le tecniche più indicate e adottare un atteggiamento terapeutico coerente.

Ma un progetto, per quanto ben formulato, resta materia viva e in trasformazione. È buona prassi rivederlo periodicamente, verificarne la coerenza con ciò che accade in seduta, adattarlo ai cambiamenti del paziente e agli imprevisti del processo terapeutico. Un buon progetto non è mai rigido ma flessibile, come deve esserlo anche il terapeuta: dotato di uno schema elastico e capiente, capace di contenere e orientare senza irrigidire.

cartella clinicaInfine una buona cartella clinica , altra tipica attrezzatura dietro le quinte del trattamento, non è solo un archivio di informazioni, ma uno strumento di pensiero. Annotare, riflettere, aggiornare le ipotesi e i passaggi del percorso aiuta il terapeuta a mantenere chiarezza e continuità, e a costruire un progetto terapeutico coerente, dinamico e realmente adeguato alla persona che ha di fronte. Che siano appunti sparsi o schedario organizzato, annotare, riflettere, conservare, riguardare, modificare, sono operazioni silenziose e continue che un buon professionista compie continuamente e che aiutano a ridefinire il progetto globale d’intervento.