Perché c’è qualcun altro a parte Freud?
Ciascuna delle correnti della psicologia precedentemente esposte propone strumenti di intervento e modalità di rapporto con il cliente coerenti con le teorie di provenienza. Il modello operativo è ciò che guida il professionista nel suo intervento e ne definisce in buona parte gli obiettivi, le strategie e le tecniche. Come la rete di un pescatore, a seconda della maglia più o meno stretta, della forma e delle caratteristiche della rete stessa, ogni modello può cogliere alcune realtà piuttosto che altre, e quindi focalizzare alcuni aspetti del funzionamento psicologico dell’uomo, in risalto rispetto agli altri.
L’uomo ed i suoi valori
In estrema e personale sintesi, e partendo dal cerchio “concettuale” più ampio, nel modello di riferimento utilizzato (Modello Strutturale Integrato) l’individuo “sano” viene considerato come libero, responsabile, consapevole, volto alla intersoggettività in funzione di una idea di verità. Non ci spaventiamo di tali parole, né consideriamole scontate. La libertà, per esempio, che oggi viene data per scontata (ma ci sarebbe molto da dire a riguardo…), in altre epoche o culture era sostituita anche in ambito scientifico dal concetto di “determinismo”: l’uomo non può cioè sfuggire alla sua storia, alla sua cultura, alla biologia, ecc. La “sanità” in tale prospettiva risiede allora nella capacità di adattarsi a ciò che è già dato. Il primo modello operativo di Freud o quello di Pavlov, ad esempio, erano deterministici. Ed anche oggi molte persone pensando ai propri sintomi o agli individui con cui convivono sono solite usare espressioni chiaramente “deterministiche” come: “non ci posso fare nulla”, “le persone non cambiano”, “non dipende da me”, “sono costretto”, “non si può resistere agli impulsi”, “dipende dal destino, dalla società, da chi comanda, dalla moglie, dal marito, dal capo, ecc.”, tutte espressioni che sottendono l’idea che il comportamento umano venga determinato da forze e realtà esterne o interne (gli impulsi, o le abitudini, ecc.) cui non ci si può sottrarre. Se l’uomo viene immaginato quindi come libero o viceversa come determinato cambia drasticamente la prospettiva nella quale ci si muove ed anche la concezione psicologica dell’uomo e del suo funzionamento psichico: tutto ciò che da questo valore discende, allora, vale a dire le emozioni, il corpo, i pensieri, i sintomi, la sofferenza, le potenzialità, ecc., tutto ciò assume un colore ed una funzione differente.
La necessità di pronunciarsi “un attimo” sulla questione epistemologica (visione ed idee sulla conoscenza e sulla realtà) ed antropologica (visione ed idee sull’uomo) dei valori rimanda quindi al fatto che ogni modello scientifico si fonda su assunti valoriali che fungono da coordinate per definire l’oggetto stesso di analisi (l’uomo) e le tecniche da utilizzare. I valori, che riguardano sempre la relazione tra identità diverse, si pronunciano ad un livello più ampio e profondo, e somigliano a ciò che i postulati sono in matematica: si assumono per veri e si descrivono ma non si possono dimostrare, ed una volta assunti sono l’ancoraggio per tutto ciò che su di essi si costruisce.
Siamo liberi o determinati dall’ambiente e del nostro passato?
Nel modello di riferimento si ritiene che gli uomini siano inevitabilmente condizionati dal contesto esterno (cultura, storia, società, famiglia) ed interno (biologia, pulsioni, chimica, fisica, apprendimenti pregressi) ma non per questo “determinati”; si ritiene cioè che in ogni condizionamento vi sia sempre un certo numero di gradi di libertà. Anzi si potrebbe dire che tra condizionamento e libertà sussiste una necessaria complementarità: non ha infatti senso parlare di libertà se non in riferimento alla possibilità di scegliere in “determinate” condizioni. Non abbiamo la libertà assoluta, anzi essa non esiste, non possiamo fare sempre ciò che vorremmo, però un ventaglio di possibili scelte c’è sempre. Questa è – in estrema sintesi – la libertà che ci “salva” dal determinismo. Libertà di agire, pensare, sentire, essere, ma condizionati in ciascuno di questi. Se questo è “il postulato”, discende che la psicologia, con i suoi strumenti, può aiutare le persone a comprendere sempre meglio i vari condizionamenti interni ed esterni cui si è sottoposti e le libertà cui si ha realisticamente accesso.
Siamo consapevoli o l’inconscio comanda per noi?
L’uomo può essere più o meno consapevole di quello che accade o fa o è, e dei condizionamenti stessi cui è sottoposto o che provoca nell’altro. Anche in questo caso l’epistemologia moderna ci aiuta ad uscire dalle secche delle rigide contrapposizioni e sappiamo che non si può mai essere del tutto consapevoli di qualcosa: siamo piuttosto consapevoli della parte che vediamo ed inconsapevoli del resto. L’inconsapevole può divenire consapevole ed il consapevole quindi può allargarsi nel mare sconfinato dell’inconsapevolezza, cedendosi il passo l’un l’altro in un viaggio reciproco senza fine nella conoscenza. Le “frontiere” per passare dall’inconsapevole al consapevole sono fondamentalmente due: l’introspezione ed il confronto con ciò che l’altro vede di me e che io non vedo. Le tecniche sono invece svariate, comuni e meno comuni che siano, ed in psicologia se ne trovano svariate. L’allenamento nelle “tecniche” e la frequente permanenza in ciascuna delle “due frontiere” della consapevolezza (l’introspezione ed il confronto con l’altro) aiutano l’essere umano a sviluppare la propria capacità di riflettere su di sé e sul mondo circostante. La psicoterapia, ad esempio, è uno strumento di intervento che attraverso il confronto con ciò che l’altro vede (il terapeuta, che padroneggia le “tecniche”) stimola nel paziente il potenziamento della funzione introspettiva ed il cambiamento di inconsapevoli e disfunzionali determinismi che vengono dal passato e dal presente, che causano la sofferenza ed i sintomi. Ad ogni passaggio verso nuove consapevolezze corrisponde un aumento dei gradi di libertà di cui si dispone nelle proprie scelte sia rispetto al proprio inconscio, che ci condiziona ma non determina, sia rispetto alle forze esterne ed interne di varia natura che ci influenzano, e ciò viene vissuto come crescita personale, aumento di capacità. Essere consapevoli rende più liberi, non meno liberi, poiché conosciamo meglio le condizioni all’interno delle quali decidere ed operare. In un intervento psicologico, quindi, divenire consapevoli di fatti e cose che ci appartengono, anche quelle dolorose, aiuta le persone a vivere meglio, ma inoltre allena la facoltà mentale di divenire consapevole sia attraverso l’introspezione sia attraverso il confronto attivo con l’altro.
E la responsabilità ?
Essere liberi e consapevoli non ci dice ancora se ci consideriamo responsabili o meno degli eventi interni ed esterni che ci appartengono, sia che li provochiamo sia che ne siamo coinvolti. Siamo chiamati a rispondere delle nostre azioni e del nostro modo di essere? sia di quello di cui siamo consapevoli sia di ciò che inconsapevolmente ci guida? La risposta è si. Del resto, giusto per fare un esempio, è esperienza comune che siamo responsabili sia se colpiamo volontariamente qualcuno o qualcosa, sia se per sbaglio urtiamo col piede e nel far ciò provochiamo conseguenze. Certo nei due distinti casi valgono considerazioni, misure e pesi differenti, ma siamo comunque responsabili, siamo chiamati cioè a rispondere a noi stessi e agli altri delle nostre azioni ed immaginiamo lo stesso valga per gli altri verso di noi. Sono responsabilità diverse, ma esistono entrambe. Senza questo valore, la responsabilità, finiremmo come particelle che si scontrano a caso senza che nessuno degli scontri effettuati ci aiuti e ci obblighi a modificare rotta, direzione e velocità per meglio coesistere con gli altri e per sviluppare le nostre potenzialità. L’intervento psicologico aiuta le persone a gestire in maniera responsabile ed adeguata i propri vissuti (idee, pensieri, giudizi, emozioni, comportamenti, sintomi, potenzialità, ecc.) e ad esigere dagli altri lo stesso.
Io e gli altri, ovvero l’intersoggettività
Possiamo inoltre concepire che ciò che vale e va rispettato per me, per il mio modo soggettivo di esistere, il mio modo di essere libero, consapevole e responsabile valga anche per la soggettività altrui, necessariamente diversa e simile alla mia. L’uomo tende spontaneamente alla intersoggettività, cioè alla capacità di tenere presente contemporaneamente la propria ed altrui visione soggettiva del mondo e quindi di agire facilitando tale incontro. Il bambino già a pochi mesi, non appena cioè la maturazione del sistema nervoso lo consente, guarda il genitore per leggere sul suo viso come egli interpreta ciò che accade, se lo ritiene cioè importante, buono o cattivo, e già da subito effettua un primo raffronto con ciò che in corpo egli stesso spontaneamenete avverte. Dalla convergenza e dalla divergenza di questi due mondi soggettivi di fronte alla stessa situazione, parte il viaggio verso la costruzione intersoggettiva dell’esistenza di ciascuno di noi. Sarebbe più facile e rassicurante affermare che la realtà è fatta solo di oggettività e non di diverse ed infinite soggettività, ma non è così. Questo in ambito psicologico, soprattuto nella pratica professionale, ha ricadute importanti e dirette: lo psicologo non aiuta il cliente ad avvicinarsi alla “vera oggettività delle cose” (che poi sarebbe ciò che lo psicologo ritiene come oggettivo), ma potenzia nell’utente gli strumenti mentali di conoscenza oggettiva (leggi e caratteristiche del mondo delle “cose”), soggettiva (del mondo dei vissuti personali) ed intersoggettiva (dell’incontro di soggetti diversi): cosa vedo e conosco di me (desideri, emozioni, pensieri, comportamenti, obiettivi, ecc.)? cosa vedo e conosco di te (idem)? cosa tu vedi di te e di me? come possiamo “combinare” tutto ciò affinché le nostre scelte siano buone e giuste per entrambi? cosa quindi ci aiuta a crescere e andare avanti? Sono questioni complesse, quelle che più spesso nella quotidiana convivenza creano problemi tra le persone, creano conflitti, tensioni. Ma sono le stesse che possono legare, far collaborare, dar forza e sicurezza, dare un orizzonte chiaro in cui scegliere e agire. Si dice, per scherzare, che gli psicologi rispondono sempre alle domande dei loro clienti con ulteriori domande, ed in parte è vero. Ma senza le domande giuste, come può la persona esplorare e definire la complessità della propria visione soggettiva e di quella altrui? Come può arrivare a definire pian piano cosa è giusto per entrambi?
La verità e la realtà
Fin da piccolissimi siamo portati a connotare l’esistente in termini di vero/falso, di reale/irreale, buono/cattivo. I bimbi tra i due ed i quattro anni ci attanagliano, giustamente, con domande e chiarimenti su questo punto. Crescendo impariamo poi ad elasticizzare tale visione e a declinarla per i vari luoghi e casi. Comprendiamo cioé che la “verità” e la “realtà” hanno diversi livelli di approfondimento e che dipendono da tante cose, che non sono quindi scontate e che possono essere inoltre mutevoli. Mai però possiamo fare a meno di ritenere una cosa vera o falsa, reale o irreale, buona o cattiva per noi. L’idea di verità, ovvero ciò che io definisco “vero”, è infatti il primo strumento che ci consente di emergere dal caos della impossibilità conoscitiva, ed è anch’esso soggettivo, storico, mutevole. Per via di questa sua limitata e relativa natura, solo nell’incontro intersoggettivo la si può verificare e la verità stessa quindi può acquistare forza e sanità, oppure essere modificata o soppiantata da altre verità; fuori di esso invece, chiusi in noi stessi rischia di divenire totalitaria ed infeconda, se non addirittura nefasta. Una idea sana di verità, composta dal circuito continuo dubbio-esplorazione-affermazione-verifica, quindi facilita l’incontro e la diversità, una idea malsana di verità (basta che manchi solo uno degli anelli del circuito o che non ci si confronti con l’altro) alimenta invece pregiudizi e intolleranza. È vero ciò che corrisponde bene ai fatti, che li spiega in modo esaustivo, ma che risulta anche logico e coerente sia al suo interno (rispetto a ciò che vuole spiegare) sia al suo esterno (altre verità possedute). Eppure, per quanto mi sforzi di raggiungere la verità (su una persona, su una cosa, su un fatto, ecc.) il “mio” vero può non corrispondere al “tuo” vero, sia perché siamo a livelli diversi di sviluppo (capacità conoscitive diverse) sia perché prendiamo in considerazione elementi diversi, sia perché ci poggiamo su postulati e valori diversi per organizzare le nostre idee: di qui nasce quindi, per chi non ne ha paura, la diversità ed il confronto circa la verità e la realtà delle cose. Lo psicologo non indottrina quindi le persone su cosa ritenere vero e cosa falso, cosa giusto e cosa sbagliato, cosa reale e cosa non, ecc., ma lavora per potenziare nelle persone le proprie capacità di definire in modo articolato, elastico e complesso le proprie idee e le proprie credenze, così che fungano da ancoraggio per scelte e comportamenti adeguati.
Il funzionamento psichico
Dalle filosofiche vette dei valori scendiamo quindi nelle vallate del comportamento umano. Rechiamoci cioé in un cerchio meno ampio e più focalizzato per capire cosa si vede di una persona quando essa è o agisce. Sempre in estrema sintesi, vengono presi in considerazione nel modello di riferimento i quattro principali linguaggi di esistenza, vale a dire i “modi” nei quali la persona vive, si manifesta e viene vista: il razionale (la capacità di pensare ed esprimere giudizi in modo univoco e corretto), l’emotivo (la capacità di vivere emozioni che donano importanza alle cose e alla vita stessa), il corporeo (la capacità di avere ed essere un corpo vibrante che ci arricchisce di sensazioni e che comunica tutto ciò agli altri), il fantastico (la capacità di andare oltre l’univoco, oltre l’ovvio, sperimentando ponti creativi e diversi in noi e con gli altri). Dalla quantità e qualità della loro integrazione deriva la funzionalità e la ricchezza dell’individuo. Ogni sfera può essere infatti più o meno sviluppata ed i meccanismi di integrazione tra i vari linguaggi più o meno capaci. In un intervento psicologico si punta ad accrescere ciascuna di queste sfere e massimizzare la loro integrazione reciproca, aiutando la persona a divenire più capace razionalmente, emotivamente, corporeamente, fantasticamente. Molti dei sintomi psicologici derivano da disfunzioni in una o più sfere e/o dalla cattiva integrazione tra esse.
Nel rapporto dell’IO con le altre persone (TU), l’incontro può avvenire a ciascuno dei linguaggi di esistenza: vi può essere ad esempio un buon incontro a livello razionale con minori capacità di incontro a livello emotivo-corporeo o, sempre e solo in via esemplificativa, si possono condividere fantasie e immaginazioni tra due o più persone ma aver difficoltà a spiegare razionalmente cosa stia accadendo ed avere reazioni emotive in parte simili ed in parte differenti. A livello interpersonale abbiamo quindi ancora la possibilità di integrazioni più o meno ricche e feconde tra l’IO ed i suoi livelli di funzionamento ed il TU, con i suoi. Ma anche nell’incontro dell’Io con sé stesso (funzione mentale che chiamiamo consapevolezza) possono venir integrati o esclusi uno o più linguaggi (razionale, emotivo, corporeo, fantastico). Ciò che non è in contatto consapevole con l’Io (ciò di cui non mi rendo conto) però comunque esiste ed agisce, condiziona cioè il nostro pensare, essere e agire, con ripercussioni sul soggetto stesso e sugli altri, ed é ciò che chiamiamo funzionamento inconsapevole (l’inconscio si potrebbe dire, se non fosse che questo concetto è troppo legato ad un modello specifico ed assume quindi connotati particolari). Una persona può essere in contatto con i propri pensieri e con i propri ricordi (Sfera Razionale) ma non con le proprie emozioni o alcune di esse, come la paura, ad esempio (Sfera Emotiva) oppure non saper riconoscere e contenere le proprie sensazioni fisiche (Sfera Corporea). Ma sia la paura inconsapevole che i sintomi fisici incontrollabili interferiranno e depotenzieranno le capacità della persona, limitando le sue possibilità e condizionando i rapporti affettivi e sociali. Si lavora quindi, in un intervento psicologico, a potenziare la capacità delle persone di leggere e gestire meglio le sfaccettate interazioni tra sé e l’altro e, all’interno, tra le parti di sé già conosciute e gestite e quelle meno consapevoli.
Un ulteriore livello del funzionamento psichico riguarda le Posizioni Esistenzali, cioè la capacità più o meno sviluppata di sapersi prendere cura dei bisogni propri (Bambino) ed altrui (Genitore) e di saperli armonizzare in vista di ciò che la realtà ci chiede in un dato frangente (Adulto). Per fare questo bisogna saper comunicare bene, saper creare e rispettare regole giuste di gestione dei bisogni, saper dedicarsi al piacere ed anche al dovere. Bisognerebbe saper essere ciascuno dei tre (Bambino, Genitore, Adulto) e saperli declinare bene, pur se ognuno porta in sé, in base alla sua storia di vita, una posizione esistenziale sua tipica e predominante. Anche in questo caso lo sviluppo e la buona integrazione delle parti facilita la salute ed il benessere. La dissociazione e la negazione di qualcuna di esse crea sofferenza.
Infine va considerato il livello che in realtà è il più ampio dei precedenti, ovvero il livello dell’Energia e della Struttura. Qualsiasi cosa che esiste in noi è una materia, una energia vitale che dobbiamo imparare a gestire bene, donandogli la migliore struttura possibile in base alla propria storia di vita, alle contingenze e alle capacità personali. Per fare ciò abbiamo bisogno di una adeguata Formula Strutturale. Mi spiego con degli esempi. Una sensazione fisica (energia), bella o brutta che sia, va prima di tutto capita (struttura) e ciò viene facilitato dalla capacità di saper fidarsi delle proprie sensazioni (formula). Un altro esempio: ciò che vedo sul viso della mia fidanzata (energia) va colto da me (struttura) e va integrato con ciò che sento e so di lei (formula). Ancora: la mia rabbia (energia) va incanalata nei modi giusti (struttura) e direzionata bene verso uno scopo realistico (formula). Un bambino agitato (energia) va impegnato in attività adatte al suo stato (struttura) e questo è possibile solo se si ritiene che sia possibile il contenimento emotivo (formula). Tutto ciò che esiste può essere visto in questi termini triadici (energia, struttura e formula). L’equilibrio e il disequilibrio tra questi tre elementi spiegano il funzionamento sia individuale che relazionale delle persone, dal momento che ogni percetto, ogni sensazione, ogni pensiero, ogni cosa che accade in me e fuori di me va sistemato bene se voglio evitare sia di perdermi nel caos di una energia senza argini sia nel freddo mortifero di una rigida struttura che strozza la vitalità dell’essere umano. Per ogni energia/struttura esistono formule che facilitano o che ostacolano la crescita ed il benessere; bisogna quindi allenarsi nel costruirne sempre di migliori. Alcune persone hanno un carattere più sul versante Energia, cioè abbondano di parti rispetto alla capacità che hanno di contenerle (struttura) in modo stabile e vantaggioso, altre persone invece risiedono sul versante Struttura, cioè sono solide e stabili ma talvolta a discapito della possibilità di aprirsi a nuove esperienze (energia). Nel mezzo, tra i due estremi, risiediamo tutti noi. Ogni carattere ha le sue peculiarità, con i punti suoi propri di vantaggio e di svantaggio. In un intervento ben condotto si lavora anche per modificare almeno in parte il carattere e per imparare a interagire con le persone e le situazioni in base al carattere dei partecipanti e alle caratterisitche psicologiche delle situazioni.
La capacità di riflettere su di sé e sul mondo
L’incontro con l’altro, così come dell’Io con sé stesso e le sue parti costitutive, la sua storia, i suoi conflitti, ecc., avviene sempre e comunque, in qualche modo, dal momento che due entità sono messe in condizione di entrare in relazione e, quindi, di comunicare. L’integrazione tra tutte queste parti può però “funzionare” meglio o peggio. Inoltre l’incontro si dispiega in uno degli infiniti livelli possibili tra i due estremi della consapevolezza e della inconsapevolezza. Ciò dipende dalla possibilità umana, della mente, di avere una visione Spontanea o Riflessa di ciò che accade e di ciò che si fa. Si possono vivere spontaneamente sensazioni, emozioni, fantasie e pensieri, agire comportamenti da Adulto o da Bambino, incarnare credenze e regole, così come assunti culturali e condizionamenti esterni (ambiente) o interni (pulsioni). Si può avere però di ciascuno di essi anche una consapevolezza riflessa, dovuta alla capacità insita nell’uomo di potersi vedere dal di fuori e di meta-riflettere su di sé e sulle cose che gli appartengono da un vertice terzo di osservazione. Non è buono per l’uomo essere “solo” Spontaneo, così come è impossibile né auspicabile essere “sempre” Riflessi; ciò che aiuta, e che in un intervento psicologico viene potenziato, è la capacità continua di muoversi tra i due livelli per accrescere la propria consapevolezza e le proprie capacità.
La salute, la patologia e tutto ciò che vi cade in mezzo
La patologia, se ci muoviamo in ambito strettamente clinico, si presenta quando l’Io non è sufficientemente forte (Forza dell’Io) da integrare in un equilibrio soddisfacente le cose che vede e che accadono fuori e dentro di sé (a ciascuno dei livelli razionale, emotivo, corporeo, fantastico). Si presenteranno quindi i sintomi, alcuni di natura più energetica, ovvero sensazioni corporee forti, emozioni dirompenti, impulsività, pensieri bizzarri, ansie, fobie, ecc. o altri legati ad un eccesso di Struttura, con senso di vuoto, anaffettività, pensiero povero e geometrico, sensazioni corporee anestetizzate, ecc. Avremo inoltre sintomi da conflitto tra energia e struttura, con compresenza di entrambe le categorie sintomatiche. In ciascuno di questi casi generali, pur se con le dovute differenze, è come se l’individuo non avesse ancora trovato le giuste formule per dar vita e potenza alle proprie parti, e tutto ciò si manifesta come sofferenza. Ogni volta quindi che nello sviluppo di una persona l’Io non è ancora riuscito a trovare la sua giusta forza e la sua vitale ricchezza avremo sintomi più o meno floridi e creeremo problemi e sofferenza a noi stessi e/o agli altri.
I sintomi possono quindi sia essere transitori e testimoniare quindi di un periodo di eccessivo stress, tale da soverchiare temporaneamente le capacità dell’Io, sia stabili, cronici, e testimoniare quindi di una generale e antica difficoltà. I sintomi, in entrambi i casi, sono la “spia” che segnala l’esistenza di tali difficoltà. La “malattia”, a livello psicologico, è quindi il quadro di anormale sviluppo o malfunzionamento temporaneo dell’Io, i cui segni manifesti sono i sintomi, alcuni floridi, alcuni devitalizzanti.
Fuori dell’ambito psicopatologico, quindi in un quadro di “sanità” e “normalità”, l’essere umano può sempre crescere, rinvigorire le proprie capacità, sviluppare le potenzialità facilitando le integrazioni possibili e funzionali tra parti di sé, rispetto ad un problema o nella relazione con gli altri o nella produttività. Anche il benessere, l’efficienza, la gioiosa realizzazione, come la conoscenza, è un piacevole viaggio costruttivo senza un termine prestabilito. Questo vale in ambito familiare, educativo, ricreativo, sportivo, lavorativo ed in generale ovunque l’uomo interagisca in spazi di convivenza.
I caratteri, ovvero chi è tondo e chi è quadrato
Le persone proprio perché integrano e sviluppano in modi diversi e unici le parti che le compongono, sviluppano strutture di personalità differenti, o “caratteri” se volete. Interagire con una persona dipende molto dal suo carattere e dal nostro: i modi, i tempi, le forme, i contenuti dello scambio variano di molto nei diversi possibili incontri di caratteri differenti. I caratteri pur se infiniti ed irripetibili vengono ricondotti nella prospettiva di intervento in alcune categorie tipiche e lo psicologo che opera in base al Modello Strutturale Integrato impara a stimolare e interagire con le persone tenendo bene in conto il carattere relativo, conoscendone le peculiarità, sapendo quindi cosa funziona meglio e cosa non. Il cliente, dal canto suo, impara a conoscere meglio le caratteristiche del proprio carattere e delle persone importanti con coi convive o interagisce, ed impara ad intervenire su ciò che ritiene meno funzionale.